di Andrea Fundarò
ex studente del Liceo Classico
Vanità delle vanità, disse l’Ecclesiaste, tutto è vanità. Quale vantaggio trae l’uomo da tutto l’affanno, per il quale sotto il sole fatica? Una generazione s’estingue, una generazione procede, ma la terra eternamente riposa. Il sole sorge, il sole tramonta, e al suo luogo ritorna, ove il vento, rinascendo, soffia a meriggio, e a tramontana gira: ravvolgendosi, girando e rigirando, il mondo discorre. Nel mare ogni fiume s’addentra, pur il mare non trabocca: indi uscendo, i fiumi lor marcia riprendono. Tutte le cose sono in travaglio, che l’uomo con la parola non può sviluppare. Non si sazia l’occhio di guardare, né mai d’udire l’orecchio. Quel ch’è stato sarà, e quel che s’è fatto, si rifarà: nulla di nuovo siede sotto il sole. E non vale niente dire: Eccoti, cosa nuova è questa. Perch’ella fu, già è gran tempo, nei secoli che ci hanno preceduti. De’ maggiori non resta alcuna memoria, né presso la posterità si conserverà ricordo di quei che verranno per lo innanzi.
Nihil sub sole novum: non vi è nulla d’antico sotto il sole, tutto accade per la prima volta, ma in un modo eterno. Tutto muta, nulla perisce: il fiume che scorrendo muore nell’oceano, dall’oceano nuovamente partorito, rinasce, e riprende la sua marcia. Cos’è il tempo se non una costruzione chimerica, il frutto della mente limitata dell’uomo moderno, la quale non riesce più a cogliere l’essenza del divenire? Agostino d’Ippona abbrancò nelle sue opere il tempo, ne ruppe il circolo, e lo distese a mo’ di segmento, il cui principio è la creazione, e il termine il giudizio universale: nel mezzo l’umanità che nasce, brulica, vive, fornica, erra, e muore. E divise questa linea in tre parti, dando a ciascuna un valore morale, di maniera che il passato fosse la dimora del peccato originale, il presente la redenzione, e l’avvenire la speranza nel Paradiso.
Da allora l’uomo moderno, cioè a dire occidentale e cristiano, si figurò il tempo in questa guisa, come una successione (in)naturale di accidenti, prodotti tutti da un’intelligenza creatrice, e destinati dalla Provvidenza verso un medesimo fine. Ora, basti considerare l’etimologia della parola latina tempus, per intendere quale violenza fu operata contro la natura: tempus, anticamente *tempos, risale alla radice indoeuropea TEM, onde il greco témnō, che equivale a “tagliare”. La spada di Agostino recise chronos in tempora, e infuse in ogni sua parte la morale cristiana, quando il tempo greco era un ciclo biologico e naturale, che seguiva le leggi del divenire, essendo la physis, la natura per l’appunto, quello sfondo immutabile, ingenerato e imperituro, che nessun dio e nessun uomo fece.
Avendo fin qui ragionato del tempo, ora il lettore potrà abbracciare più facilmente il significato delle antichità, e il motivo per il quale è universale lavoro indagarle e studiarle. Scrive Giacomo Leopardi in una pagina dello Zibaldone di pensieri: La portentosa solidità delle antiche fabbriche d’ogni genere, fabbriche che ancor vivono, mentre le nostre, anche pubbliche, non saranno certo vedute da posteri molto lontani; le piramidi, gli obelischi, gli archi di trionfo, la profondissima impronta delle antiche medaglie e monete […] sono opere, effetti, e segni delle antiche illusioni e dell’antica forza e dominio d’immaginazione. […] L’immaginazione spinge sempre verso quello che non cade sotto i sensi. Quindi verso il futuro e la posterità, perocché il presente è limitato e non può contentarla; è misero ed arido, ed ella si pasce di speranza, e vive promettendo sempre a se stessa. Ma il futuro per una immaginazione gagliardissima non debbe aver limiti; altrimenti non la soddisfa. Dunque ella guarda e tira verso l’eternità.
Oggetto delle antichità non è il passato, nel quale sono state fabbricate e sepolte, non il presente, nel quale ancor durano e vivono, non l’avvenire, al quale sembra siano state raccomandate, ma l’eternità: fuori del tempo e dello spazio, ella custodisce l’arcano del mondo, che sussurra alle orecchie degli ierofanti, i quali, come l’odono, così lo trasmettono, sibillino e astruso qual è. E quei sacerdoti, che si prendono la briga di traslatarlo in una lingua volgare e intellegibile, calcando le strade dei padri, e consacrando allo studio la loro vita, guardano il crocevia del tempo, quel punto generato dalla fantasia ove troneggia l’Eternità. Essendo uomini, essi sanno che ogni uomo è una possibilità, le infinite possibilità della storia, perché ogni uomo è l’umanità: essi vedono con l’occhio dell’intelletto le vie oblique e torte di Salomone, e le investigano come veltri. Sensali delle creature, soggetti agli dèi, e sovrani dei bruti e delle bestie, con l’acume dei sentimenti, con l’indagine della ragione, e con il lume dell’intelletto fiutano, trovano, e discoprono quell’arcano; intervallo tra l’eternità immobile e il tempo che scorre, congiunzione del mondo, anzi imeneo, gli uomini investiti della carica di sacerdoti presso il tempio di Natura dispensano al mondo il suo messaggio. L’uomo non è il centro dell’universo, il fulcro intorno al quale gravitano gli animali, le piante, le stelle e i pianeti, ma partecipa del mondo, e funge da tramite tra l’eternità e il tempo. Le lettere, la storia, la filosofia lo riscattano, lo redimono dalla sua indole brutale e ferina, e lo nettano e ingentiliscono ammantandolo con una coltre celeste: in breve, specchiandosi nelle antichità, l’uomo, ch’è soltanto perfettibile e sempre imperfetto, può innalzare l’animo dall’inferno della terra, e cercare le leggi di Natura tra i vari giri del cielo, affinché, trovatele e apparate, le possa meglio osservare, e accettare nelle sue città. Ché una città contro natura, un uomo contro natura perde la sua umanità, s’imbrutisce, e l’angelica tempra che in lui alberga si smorza fino a sparire, cenere al vento. Per cotale ragione le antichità sono il solo strumento che ha l’uomo, non per fuggire e ricoverarsi in un idillio bucolico, in un giardino d’Armida ove obbliare sé e il mondo presente, sedotto dalle armi gotiche, dai profumi d’Arabia, dagli ungenti d’Etiopia, dalle ricchezze d’oltramare, dalle verdi pianure della Vinlandia; ma per conoscere sé e il mondo eterno, un’asineria ben lungi dall’arcano di Natura, ma che, sola, basta a dare un senso all’uomo, e al mondo in cui egli vive.
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